In Libia un cessate il fuoco fragile, tra proteste e spari
In una dichiarazione stampa il cosiddetto "Apparato di supporto alla stabilità" in Libia, ha promesso di perseguire gli assassini del suo leader, Abdulghani al-Kikli, noto come "Ghaniwa", e dei suoi compagni, ritenendo che quell' azione sia stata una "flagrante violazione di tutti i valori umani e nazionali". Nella dichiarazione si afferma che Kikli "era un leader leale e un uomo coraggioso che incarnava la più alta immagine di sacrificio e redenzione", sottolineando che il prenderlo di mira sia stato "un tentativo di destabilizzare la sicurezza e la stabilità e di minare il rapporto tra il popolo e i suoi servizi segreti".

Le milizie di Al-Kikli contro i suoi assassini
La nota ha sottolineato che quest' "azione non farà che rafforzare la sua determinazione a perseguire senza tregua i responsabili, ovunque si trovino", aggiungendo che il crimine ha rivelato "il vero carattere di coloro che lo hanno commesso e le loro intenzioni ostili nei confronti della nazione e del suo popolo". Nella nota si è chiesto il rovesciamento di quello che è stato descritto come il "governo di normalizzazione", criticandone "l'incapacità di gestire gli affari di stato e la sua incapacità di affrontare le sfide relative alla sicurezza e al territorio", il che, secondo la dichiarazione, lo ha privato "della legittimità effettiva per continuare a essere al potere". Tripoli, dunque, è scossa da proteste popolari e scontri armati.

Una crisi di legittimità senza precedenti
La capitale libica sta vivendo una crisi di legittimità senza precedenti, con manifestazioni rabbiose contro il Governo di Unità Nazionale di ,Abdelhamid Dabaiba, accusato di complicità nelle violenze. In Piazza dei Martiri, il Dipartimento di Sicurezza Pubblica ha represso ieri sera i manifestanti con armi. Il Consiglio Presidenziale ha annunciato un cessate il fuoco con la Decisione n. 2 del 2025, prevedendo il congelamento delle nomine nelle istituzioni di sicurezza e la formazione di un comitato per ristrutturarle. Tuttavia, la misura è apparsa debole: priva di meccanismi esecutivi, non ha previsto sanzioni per i trasgressori né ha risposto alle richieste popolari di giustizia. Scontri ed esplosioni sono proseguiti in diversi quartieri, evidenziando l'incapacità di imporre la tregua.

Occorre una riconciliazione nazionale
Sul piano politico, sono emerse iniziative informali. Abdelraouf Kara, comandante della Forza Speciale di Deterrenza, ha negoziato con gli oppositori, che hanno chiesto la consegna della base di Mitiga. Kara avrebbe condizionato l'accordo alle dimissioni del governo. Parallelamente, l'imprenditore, Abdelbaset Igtet, ha proposto una transizione con Mostafa Qaddour al comando, in cambio della destituzione dei ministri della Difesa e dell'Interno. La rabbia popolare è cresciuta nei quartieri di Abu Salim, Souq al-Jumaa e Tajoura, dove si è chiesta la caduta del governo. La repressione e il vuoto istituzionale hanno alimentato il rischio di un'escalation. Senza una soluzione politica che ristrutturi le istituzioni di sicurezza e ristabilisca la fiducia, Tripoli resta sull'orlo di una guerra aperta. La comunità internazionale, ora, è chiamata a sostenere un processo di riconciliazione nazionale per evitare una catastrofe.